Calotipo
La calotipia, conosciuta anche come talbotipia, è messa a punto da William Henry Fox Talbot e brevettata nel 1841. La parola deriva dal greco καλός (kalos – bello) e týpos (typos – segno).
Un foglio di carta di ottima qualità è trattato con una soluzione di nitrato d’argento e una più concentrata di ioduro di potassio. Prima di essere esposto alla luce è immerso in una soluzione di nitrato d’argento e acido gallico in parti uguali. L’esposizione richiede meno tempo della dagherrotipia. Talbot, infatti, scopre che un’immagine latente è già presente anche se non è possibile vederla finché non viene rivelata chimicamente dalla stessa soluzione di nitrato d’argento e acido gallico e che l’evidenza dell’immagine si può bloccare fissandola con iposolfito di sodio. Il risultato è un negativo che può essere riprodotto e quindi il contrario del dagherrotipo. La riproduzione avviene su una carta ad annerimento diretto trattata con una soluzione di cloruro di sodio (il sale da cucina). Il foglio una volta asciugato è spennellato con nitrato d’argento, viene posto sotto al negativo in un torchio tra due lastre di vetro (stampa a contatto) ed è esposto alla luce del sole per circa 15 minuti. Infine, è risciacquato in acqua e fissato con iposolfito. La tonalità della stampa è di colore bruno-rosso intenso. Nel 1851 Gustave Le Gray suggerisce di cerare la carta per migliorare la trasparenza e la conservazione.
Il concetto negativo-positivo è stato la base della tecnica fotografica fino all’avvento del digitale.